TERAPIA CHIRURGICA

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    TERAPIA CHIRURGICA


    Invio del materiale chirurgico al laboratorio di anatomia patologica

    Il chirurgo deve inviare il materiale di exeresi al laboratorio di anatomia patologica nel seguente modo:
    1) contrassegnandolo con reperi metallici o fili di sutura così da permetterne un corretto orientamento in accordo con il patologo; un metodo particolarmente efficace è quello di fissare il settore asportato e/o l’eventuale margine di ampliamento su una lastra di polistirolo a forma di mammella.
    2) allegando una scheda contenente informazioni anagrafiche, cliniche, tipo e sede del prelievo, eventuale richiesta di esame istologico intraoperatorio. Un corretto scambio di informazioni fra chirurgo e patologo è essenziale per giungere ad una diagnosi esatta e per programmare il trattamento.

    Il decorso postoperatorio, l’assistenza e le informazioni

    Diverse complicanze quali l’ematoma, il sieroma, la linfostasi transitoria del braccio, le fibrosclerosi, le flebotrombosi, le linfangiti e le infezioni possono insorgere dopo gli interventi chirurgici sia mutilanti che conservativi e devono essere annotati in cartella e adeguatamente trattati. Fin dal primo giorno dopo l’intervento la paziente deve essere stimolata alla cura di sé, all’attività percettivo-motoria dell’arto superiore e alla correzione della postura.
    Queste attività iniziate precocemente impediranno danni secondari dovuti alla ipomobilità e porteranno alla rapida ripresa funzionale e alla riattivazione del circolo linfo-venoso. È possibile programmare una serie di linfodrenaggi manuali nelle donne che presentano una stasi transitoria immediatamente dopo l’intervento. Durante e dopo la degenza la paziente può andare incontro ad un periodo di depressione reattiva ed utilizzare alcuni meccanismi di difesa che il team curante deve saper decodificare: può richiedere continue gratificazioni, fare “capricci”, lamentarsi di cose futili oppure può rifiutarsi
    di dipendere dagli altri, diventare aggressiva, polemica, esigente nei confronti di chi l’assiste, essere scontenta delle cure, pretendere di ottenere spiegazioni dettagliate, che non saranno mai sufficientemente soddisfacenti; può sospettare di essere stata ingannata, sminuire l’intervento, cercare rassicurazioni emotive più che informazioni precise; può infine totalmente delegare. I curanti devono essere in grado di capire ed evitare spostamenti, conflittualità e deleghe all’interno del sistema sanitario di appartenenza. Prima della dimissione la paziente deve ricevere informazioni socio-sanitarie su: le precauzioni per la protezione dell’arto dal lato dello svuotamento ascellare; le possibilità di movimento; i vari tipi di protesi esterne esistenti in commercio; le modalità per avere gratuitamente protesi mammarie, busti e supporti elastici


    Esiti tardivi e terapie

    Gli esiti post-chirurgici a distanza riguardano le possibili lesioni nervose, muscolari, articolari, vascolari, processi flogistici ricorrenti, gli stati di umore altalenanti con possibile cronicizzazione di depressione ed ansia. I danni nervosi, funzionali ed algici devono essere precocemente valutati per evitare un ritardo nell’intervento riabilitativoantalgico. Il cambiamento persistente del tono dell’umore può essere segnalato al gruppo di sostegno psicologico. Le sequele fisiche tardive più conosciute sono qui brevemente segnalate.

    1. “Stiramento” del plesso brachiale: si verifica nell’1% circa degli interventi, dovuto più frequentemente a posizioni scorrette del braccio sul letto operatorio o allo spostamento della persona addormentata da un letto all’altro. Sono compromessi più frequentemente i componenti radicolari C5-C6 con deficit prevalente della abduzione e flessione dell’arto e della flessione dell’avambraccio sul braccio accompagnato da parestesie e disestesie negli stessi territori di distribuzione sensitiva.

    2. Lesione dei nervi toracici anteriori (mediale e laterale): comporta un’ipotrofia da denervazione della muscolatura pettorale, invalidando l’intento chirurgico conservativo e rendendo problematico l’eventuale approccio ricostruttivo. La conservazione del muscolo piccolo pettorale nel corso della dissezione linfonodale ascellare dovrebbe comportare una riduzione di questa lesione.

    3. Lesione del nervo toraco-dorsale: comporta ipovalidità dell’adduzione ed intrarotazione del braccio, compensata nelle azioni quotidiane dalla muscolatura agonista correttamente innervata. Compromesse risulteranno attività fisiche poco usuali quali l’arrampicamento o il nuoto a farfalla in cui è necessaria la potente azione di avvicinamento del tronco all’arto, tipica del muscolo grande dorsale.

    4. Lesione del nervo toracico lungo: rilevabile in circa il 20% delle donne operate, comporta la presenza di “scapola alata”. Tale deficit si riscontra anche dopo interventi conservativi in quanto la diversa tecnica chirurgica implica una più difficoltosa procedura di isolamento del nervo. Se vi è solo “stupor” del nervo, il danno si risolve in sei mesi circa con un buon programma riabilitativo. La persistenza della “scapola alata” oltre tale termine indica verosimilmente una lesione irreversibile. Occorre evitare di scheletrizzare il nervo, di staccare il tronco nervoso dalla parete toracica, di coagulare i piccoli vasi nella sua prossimità. La scapola alata può essere difficile da osservare nelle pazienti in ortostatismo con arto in posizione anatomica, mentre è rilevabile progressivamente durante la flessione dell’arto fino a 90°. Il deficit appare ancora più marcato durante i movimenti di controresistenza. Mancando la fissazione della scapola l’elevazione dell’arto sopra la testa risulta spesso limitata ed è impossibile attuarla a gomito esteso. Tutti i movimenti sono invece facilitati nella loro escursione quando la paziente assume la posizione supina, venendo la scapola fissata dal peso stesso del corpo. A partenza da questa posizione dovrebbero essere attuati, fin dai primi giorni dopo l’intervento movimenti di sensibilizzazione, attivazione e rilassamento dei muscoli funzionalmente invalidi per risolvere precocemente il deficit neuromuscolare e per prevenire blocchi articolari e contratture muscolari spesso associate.

    5. Lesione del nervo intercostobrachiale (ICB): quasi tutte le donne riferiscono di sentire “un cuscinetto, una compressa di cotone, un cartone duro, un libro sotto l’ascella”. Questo disagio si risolve gradualmente in poche settimane o mesi, ma in alcune persone, con disagio psicofisico precedente alla diagnosi e all’intervento, la sintomatologia può permanere o peggiorare nel tempo. Possono essere avvertite anestesia e anidrosi, parestesie, ipo-o iperestesie, algie puntorie o a volte urenti, acuite spesso dalla tensione e dalla sofferenza dei lembi, dalla presenza di siero, flogosi, limitazioni funzionali. La sintomatologia interessa più nettamente la regione ascellare, ma è a volte presente a livello dei 2/3 postero-mediali del braccio (per anastomosi tra ICB e, rispettivamente, il cutaneo posteriore, ramo sensitivo del radiale, e il cutaneo mediale del braccio). A volte, per la presenza di un’anastomosi con il nervo cutaneo mediale dell’avambraccio, la sintomatologia viene avvertita anche in sede antibrachiale fino al polso.È possibile, nel tempo, lo svilupparsi di un edema e di un quadro di “frozen-shoulder”. Il trattamento va instaurato sul versante unitario psico/motorio e relazionale da personale esperto sul versante fisico e psicorelazionale. In alcuni casi in cui lo sfioramento o la compressione di un punto preciso provoca lo scatenamento della sintomatologia, la revisione chirurgica ha evidenziato la presenza di neuromi post-chirurgici. La conservazione dell’ICB viene oggi attuata con maggiore frequenza di un tempo, ma non sappiamo ancora se il nervo, una volta scheletrizzato, senza alcun appoggio anatomico e sospeso in cavità, possa evitare le sequele fastidiose che si osservano quando lo si recide.

    6. Pericondriti ed osteite sternale: dovute all’eccessivo uso dell’elettrobisturi e alla presenza di sierosità ed infezioni dopo l’intervento, comportano dolore localizzato che si accentua alla pressione costale o sternale. Questo dolore può limitare gli atti respiratori ed i movimenti del braccio con conseguente possibile blocco articolare ed edema. Poco possono le terapie farmacologiche con antinfiammatori, più efficaci risultano le terapie locali con laser He-Ne e magnetoterapia.

    7. Borsite sottoacromiale: è molto frequente e si presenta con dolore nell’area di inserzione del deltoide soprattutto in abduzione, rotazione interna ed esterna dell’arto omolaterale all’intervento. Se non viene trattata precocemente con la terapia fisica e motoria eventualmente associate ad antinfiammatori o infiltrazioni con anestetici locali nei punti trigger può sfociare nella periartrite scapolo-omerale, nell’edema del braccio o nella “frozen-shoulder”.

    8. Sclerosi del muscolo piccolo pettorale: si verifica quando si conserva questo muscolo legando o lesionando il suo peduncolo vascolo-nervoso. Questo comporta dolore, ipofunzione del braccio ed a volte alterazioni respiratorie.

    9. Cicatrici retraenti: aderenze, cheloidi e retrazioni cicatriziali possono portare a limitazione, disagio, ed inestetismi. Vanno programmate sedute di scollamento e di mesoterapia con anestetici locali, ma a volte si deve ricorrere all’intervento chirurgico estetico.

    10. Esiti posturali e biomeccanici: l’intervento al seno comporta ipopendolarismo e un’alterata postura della spalla e della colonna cervico-dorsale. A lungo andare vengono registrati dolore cervicale, rigidità muscolare, difficoltà nel coordinare movimenti degli arti superiori con quelli degli arti inferiori, alterazioni percettive e simboliche. Se non esistono problemi macroscopici che necessitano dell’invio agli specialisti, alle donne va consigliato un luogo, un gruppo, un’attività ludica e creativa dove sperimentare il corpo nella sua interezza, in relazione agli altri e al mondo esterno.

    11. “Sindrome della mammella fantasma”: viene avvertita soprattutto da donne giovani. Fin dai primi giorni dopo l’intervento viene riferito un dolore alla mammella che non c’è più, formicolii, prurito, bruciori, contrazioni o aumento di sensibilità a livello del capezzolo, intorpidimento, contratture crampiformi e tensione simile a quella del periodo premestruale. Come in tutte le sindromi fantasma, influenzano la rilevanza clinica i fattori intrapsichici, interpersonali e i fattori endocrini. I provvedimenti terapeutici potranno contemplare terapie farmacologiche (FANS, antidepressivi) e/o fisiche (TENS, magnetoterapia, massaggi) associate ad un approccio psicoterapeutico a mediazione corporea e un’analisi personale relazionale con eventuale terapia familiare.

    12. Tromboflebite superficiale toraco-epigastrica (malattia di Mondor): tale evenienza postoperatoria è rara e legata agli esiti del trauma della procedura chirurgica e ad una diatesi trombofilica. Il suo trattamento è correlato all’entità dei sintomi.

    13. Linfedema: resta una delle complicanze più conosciute e più temute dello svuotamento ascellare. La letteratura riporta un’incidenza che varia dal 7 all’82%. Questa differenza così ampia è dovuta all’assenza di criteri standardizzati di misurazione, classificazione e raccolta di dati. L’incidenza e l’entità del linfedema risultavano più elevate quando le pazienti venivano sottoposte a radioterapia sulla catena mammaria interna, sull’ascella e sulla fossa sovraclaveare ed a chirurgia ampiamente demolitiva. È noto che nelle pazienti, così pesantemente trattate, ma che seguivano durante e dopo radioterapia un programma di terapia motoria, il linfedema si presentava in una percentuale inferiore e si sviluppava più lentamente e con minore entità. Attualmente l’incidenza del linfedema nelle pazienti sottoposte ai diversi tipi di chirurgia conservativa e che seguono un programma percettivo-motorio durante e dopo le terapie causali è del 20% circa. L’entità media del linfedema è ridotta della metà ma il disagio che esso comporta è comunque da non sottovalutare. Oggi, con le informazioni positive date alle donne sulle terapie prive di esiti ogni sequela, anche minima, viene vissuta come inaspettata ed investita di presagi negativi e da paure di presenze di malattie. L’interruzione delle vie linfatiche (dei tre livelli, ma anche del solo linfonodo sentinella), in assenza di alcune vie linfatiche posteriori o anteriori al di sopra dello stop ascellare può predisporre all’edema. Giocano un ruolo importante nella comparsa e nell’ulteriore suo sviluppo altri fattori quali: l’età, l’obesità, l’ipertensione, le malattie metaboliche, le alterazioni vascolari, la tensione dei lembi, i bendaggi costrittivi, l’immobilità, l’ematoma, la tarda riparazione cicatriziale, la necrosi, le infezioni, il sieroma, le tromboflebiti, le fibrosclerosi, le linfangiti ricorrenti, le limitazioni funzionali, le distrofie simpatico-riflesse, le variazioni ormonali, le variazioni di peso, i lavori ripetitivi e faticosi. L’esame clinico di un arto affetto da linfedema comprende la valutazione di diversi parametri: il colore e la temperatura forniscono informazioni relative alla circolazione dell’arto e all’eventuale presenza di infezioni. Normalmente nel linfedema a sola componente linfatica il colore e la temperatura sono normali. La cianosi, accompagnata o meno da aumento della temperatura e dolore, indica una probabile alterazione del circolo venoso. Arrossamento uniforme o a chiazze, accompagnato da aumento della temperatura e iperpiressia, indica presenza di linfangite. La consistenza fornisce informazioni riguardo al grado di fibrotizzazione del tessuto interstiziale e quindi su quello di cronicizzazione. Consistenza morbida con fovea (impronta dopo pressione del dito) indica presumibilmente che vi è ancora presenza di liquido drena-bile nel tessuto interstiziale. Consistenza dura o cellulitica senza impronta indica l’avvenuta fibrotizzazione del tessuto interstiziale con cronicizzazione dell’edema. Il confronto della dimensione nel tempo fornisce informazioni sull’entità e sulle variazioni dell’edema: aumento, riduzione, stazionarietà, distribuzione. Sono stati proposti diversi metodi di misurazione: volumetrico ad immersione in acqua, impedenzometrico, plicometrico e centimetrico. Il metodo più facilmente applicabile e ripetibile è quello centimetrico. Le misurazioni delle circonferenze possono essere prese in punti precisi dell’arto (mano, polso, gomito, ascella e a metà tra polso e gomito e tra gomito e ascella) o possono essere eseguite a livello del punto di maggior edema del braccio e dell’avambraccio (questi livelli variano da paziente a paziente); tali punti di repere devono essere costantemente mantenuti nei successivi controlli. I valori centimetrici riportati vengono confrontati con quelli dell’arto sano così da valutarne la differenza.
    L’esame della funzionalità dell’arto consente di individuare possibili limitazioni, con o senza dolore, al movimento. Queste limitazioni dovrebbero essere prevenute e comunque trattate per evitare di far aumentare la stasi. L’obiettività loco-regionale consente di evidenziare o escludere l’evoluzione loco-regionale della malattia attraverso l’ispezione della ferita, delle sedi irradiate e delle stazioni linfonodali sovra e sotto-claveari e, qualora esistano, anche ascellari. Non vi sono procedure diagnostiche strumentali di routine. La linfoscintigrafia può essere indicata solo nei casi candidati ad interventi di linfoveno-anastomosi. L’ecocolor-Doppler è indicato per valutare l’entità dell’eventuale componente venosa (flebolinfedema). Procedure terapeutiche. Una volta instauratosi l’edema è difficilmente trattabile. Esistono varie modalità di drenare la linfa dall’arto: manuali (massaggio di sfioramento, linfodrenaggio), posturali, contenitive o compressive (bendaggio, supporti) e meccaniche (pneumatiche uniformi o differenziate). Il linfodrenaggio manuale (LDM) è la tecnica elettiva nell’edema iniziale. Esistono varie tecniche di linfodrenaggio (Asdock, Leduc, Vodder e tecniche modificate da senologi dedicati a questo problema) che comprendono manovre di svuotamento delle stazioni linfonodali a monte dell’ascella, di riassorbimento e di drenaggio della linfa. Le linee guida elaborate nei corsi di consenso della Scuola Italiana di Senologia prevedono per l’edema iniziale: linfodrenaggio per 45 minuti, una o due volte al giorno, seguito da bendaggio elastico comprensivo fino a riduzione stabile della circonferenza del braccio; per l’edema fibrotico: linfodrenaggio per 45 minuti due volte al giorno seguito da bendaggio per almeno due mesi. Pertanto poi va prescritto un supporto o bracciale elastico e il linfodrenaggio 2 volte la settimana come mantenimento. Il LDM è la tecnica di drenaggio più gradita per le pazienti, ma per una corretta applicazione necessita di personale specializzato ed ha elevati costi. Il bendaggio elasto-compressivo può essere eseguito con bende di diversa elasticità, anche se restano preferibili quelle di media estensibilità. Costruito a più strati il bendaggio può contenere all’interno alcuni spessori (in lattice, gomma piuma, cotone) posizionati in punti concavi o di massimo accumulo idroproteico o fibrotico. Il bendaggio dovrà avere una tensione maggiore distalmente (dita, mano) e decrescere progressivamente verso l’alto.
    Il bracciale elastico o supporto viene usato quando si sarà ottenuto il miglioramento ottimale dell’edema dopo i trattamenti drenanti. I supporti elastici esercitano una compressione differenziata sull’arto, con un massimo di 30 mmHg distalmente. Vanno indossati durante le attività fisiche e durante il riposo con arto rilassato e appoggiato in posizione antigravitaria. Possono essere impiegati come unico trattamento quando non esistono possibilità tecniche ed economiche di LDM. Vengono prescritti negli intervalli delle terapie drenanti manuali. Diversi tipi di supporti elastici preconfezionati vanno ottimamente se l’edema è distribuito uniformemente nell’arto e sono reperibili presso farmacie e negozi di articoli sanitari; se l’edema ha distribuzione non uniforme sono da preferire i supporti confezionati su misura. Questi vanno richiesti nei negozi di ortopedia che misurano l’arto ed inviano le misurazioni alle ditte specializzate nella loro confezione.
    Le terapie drenanti meccaniche vengono applicate a pressioni uniformi o differenziate ed indicate negli edemi fibrotici e cellulitici. Il trattamento consiste nell’applicazione sugli arti edematosi di manicotti che vengono gonfiati a pressioni variabili e che alternano periodi di insufflazione a periodi di svuotamento. Nella terapia pneumatica a pressione uniforme, il manicotto è formato da un unico compartimento (presso-terapia), mentre in quella a pressione differenziata il manicotto è composto da più settori che si gonfiano in sequenza da distale a prossimale (linfapress). Quest’ultima risulta essere meglio tollerata dalle pazienti. Esistono inoltre apparecchi che offrono la possibilità di prolungare i tempi di compressione nei vari settori del manicotto in modo autonomo, altri che agiscono in sintonia con il polso arterioso, altri che comprimono in senso prossimale-distale, altri che comprimono solo in pressione idrostatica. Numerose sono state fino ad oggi le indicazioni farmacologiche (antinfiammatori, antistaminici, vasodilatatori, proteolitici, antiaggreganti piastrinici, diuretici e stimolatori dei macrofagi) per la prevenzione ed il trattamento dell’edema con risultati discutibili. In caso di linfangite ed erisipela vanno prescritti antibiotici ad ampio spettro (clindamicina, amoxicillina, rifampicina, lincomicina); in caso di linfangiti ricorrenti può essere prescritta una terapia antibiotica preventiva con somministrazioni periodiche di penicillina ritardo (una fiala intramuscolo ogni tre settimane).
    Una considerazione particolare merita la dietoterapia che non costituisce di per sé trattamento specifico dell’edema, ma può essere associata a qualunque terapia venga prescritta. Il 60-70% delle pazienti affette da linfedema è in sovrappeso e un’alimentazione squilibrata nell’apporto di lipidi protidi e carboidrati può aggravare l’entità dell’edema e la sua fibrotizzazione. Una dieta ricca di grassi animali porta alla formazione di prostaglandine, che inducono l’aumento dell’adesività piastrinica e dell’ipertono vascolare con conseguente rischio di trombosi venose e flebopatie in genere. Un eccesso alimentare di aminoacidi aromatici, contenuti in alcune proteine sia animali che vegetali, favorisce la formazione nel tessuto edematoso di ponti proteici che possono svolgere un’azione flogistica cronica con conseguente aumento dell’attività fibrotizzante e formazione di cellulite. Studi sulle intolleranze alimentari, sulla disbiosi intestinale, sui drenanti naturali vengono portati avanti da gruppi di ricercatori in varie regioni italiane. Un programma di stimolazione e di riequilibrio percettivo-motorio è sempre auspicabile e necessario per le donne con edema cronico. Altrettanto necessaria nel corso degli anni risulta la valutazione delle relazioni che intercorrono stabilmente tra terapeuti e donne in trattamento e del significato dell’esito cronico per la donna e per la sua famiglia. Nei linfedema di entità grave sono stati proposti diversi tipi di interventi chirurgici quali la linfangioplastica, la trasposizione dell’omento, le escissioni radicali e le anastomosi tra linfatici superficiali e profondi. L’anastomosi linfo-venosa non ha efficacia negli edemi tardivi e fibrotici e viene presa oggi in considerazione solo in quegli edemi precoci (insorti da non più di un anno) che aumentano velocemente e che presentano ripetute linfangiti nel corso dell’anno. La disarticolazione scapolo-omerale trova indicazione negli ormai rarissimi casi di linfedema elefantiasico con lesione del plesso brachiale e frattura della clavicola e defunzionalizzazione dell’arto. Nel linfedema che si presenta per evoluzione della malattia in sede loco-regionale, le misure terapeutiche devono mirare prevalentemente al contenimento del braccio (supporto), alla riduzione dello stop neoplastico (radioterapia, chemio- e/o ormonoterapia) e al sollievo del dolore (eventuali infiltrazioni) quando vi sia infiltrazione del plesso e delle vene ascellare e succlavia.


    Problemi di comunicazione

    I medici dovrebbero informare le donne sui seguenti punti:
    – scopi della terapia chirurgica, possibili opzioni, possibili complicanze ed esiti;
    – indicazioni alla chirurgia conservativa, demolitiva, ricostruttiva, i vantaggi ed i possibili rischi;
    – indicazioni e limiti della tecnica del linfonodo sentinella, necessità di esecuzione in centri di comprovata esperienza;
    – tempi approssimativi di attesa dell’intervento, della risposta istologica, della caratterizzazione biologica;
    – necessità di un eventuale reintervento in relazione all’istologia;
    – indicazioni di massima alle terapie pre e postoperatorie;
    – prognosi dopo la definizione della lesione;
    – influenza del trattamento sulla vita di relazione e lavorativa.

    Indicatori di qualità del trattamento chirurgico*

    Intervento entro tre/quattro settimane dalla prescrizione chirurgica
    Obiettivo: 80% entro quattro settimane
    Accettabile: 80% entro quattro settimane
    Indica la proporzione di pazienti operate la prima volta per lesioni mammarie sospette (qualsiasi diagnosi; solo pazienti per le quali la prima terapia è la chirurgia) entro tre/quattro settimane dall’indicazione chirurgica, sul totale delle pazienti operate per lesione mammaria sospetta per le quali si dispone dell’informazione.

    Escissione corretta alla prima biopsia chirurgica
    Obiettivo: 95%
    Indica la proporzione di pazienti con lesioni non palpabili (benigne o maligne) escisse correttamente alla prima biopsia chirurgica, sul totale delle pazienti operate per lesioni non palpabili.

    Unico intervento dopo diagnosi pre-operatoria di carcinoma
    Obiettivo: 90%
    Proporzione di pazienti nelle quali il primo intervento non è stato seguito da ulteriori interventi locali per escissione incompleta (escluse le biopsie fallite), sul totale delle pazienti con cancro mammario invasivo o in situ operate in presenza di diagnosi preoperatoria citologica o istologica positiva o sospetta per cancro.

    Numero di linfonodi asportati > 9
    Obiettivo: 95%
    Indica la proporzione di pazienti operate per carcinoma mammario invasivo e linfoadenectomizzate in cui siano stati asportati almeno 10 linfonodi, sul totale delle pazienti operate per carcinoma mammario invasivo e linfoadenectomizzate.

    _________________________________________________________________


    Identificazione chirurgica del linfonodo sentinella
    Obiettivo: 90%
    Indica la proporzione di linfonodi sentinella identificati dal chirurgo sul totale dei casi inoculati con il tracciante e identificati alla linfoscintigrafia e con un rapporto di captazione con l’ambiente superiore a 8 count.

    Intervento conservativo in casi pT1
    Obiettivo: 80%
    Indica la proporzione di pazienti con diagnosi di carcinoma mammario invasivo di diametro patologico e diametro totale uguale o inferiore a 20 mm (pT1, incluso microinvasivi), non clinicamente multicentrico o multifocale, operate con intervento di tipo conservativo, sul totale delle donne operate con la medesima diagnosi.

    Ricostruzione immediata
    Obiettivo: non disponibile
    Indica la proporzione di pazienti mastectomizzate per le quali è stata eseguita ricostruzione immediata, sul totale delle pazienti per le quali è disponibile l’informazione.

    Intervento conservativo in carcinomi in situ 20 mm
    Obiettivo: non disponibile
    Indica la proporzione di pazienti con diagnosi di carcinoma mammario in situ di diametro patologico uguale o inferiore a 20 mm, non clinicamente multicentrico o multifocale, operate con intervento di tipo conservativo, sul totale delle donne operate con la medesima diagnosi.

    Peso volume asportato al primo intervento
    Obiettivo: non disponibile
    Indica la proporzione di pazienti con peso (a fresco o fissato) del volume asportato inferiore o uguale a 30 g e a 50 g, sul totale delle pazienti operate per lesione invasiva o in situ unicentrica di diametro inferiore o uguale a 10 mm e con margini del pezzo operatorio indenni.

    Peso biopsie benigne 30 g
    Obiettivo: 80%
    Indica la proporzione di pazienti con biopsia di peso (a fresco o fissato) inferiore o uguale a 30 g, sul totale delle pazienti operate per lesione non palpabile risultata benigna. Indicare separatamente il numero di pazienti con biopsia benigna per le quali non si dispone del dato sul peso della biopsia.

    Non esecuzione di esame estemporaneo su lesioni di diametro tumore < 1 cm
    Obiettivo: 95%
    Proporzione di pazienti operate per carcinoma mammario invasivo (esclusi microinvasivi) di diametro patologico massimo < 1 cm per le quali non sia stato eseguito l’esame estemporaneo al congelatore, sul totale di pazienti con la medesima diagnosi.

    CDIS senza dissezione ascellare
    Obiettivo: 95%
    Indica la proporzione di pazienti con diagnosi di carcinoma duttale in situ o CIS non altrimenti specificato (esclusi microinvasivi) sulle quali non sia stato eseguito intervento di dissezione del cavo ascellare (nemmeno I livello), sul totale delle pazienti operate con tale diagnosi.

    Margini indenni all’intervento definitivo
    Obiettivo: 95% per distanza > 1 mm
    Indica la proporzione di interventi conservativi (considerare l’ultimo intervento sulla mammella) per cancro invasivo o in situ che abbiano assicurato l’indennità dei margini, sul totale degli interventi di tipo conservativo eseguiti. L’obiettivo fornito rappresenta un riferimento schematico e provvisorio in attesa di accumulare maggiori dati sull’argomento. Nel programma SQTM l’indicatore viene calcolato per un più ampio range di valori della distanza minima: > 0 mm, > 1 mm, > 2 mm, > 5 mm.



    Edited by serena2 - 27/2/2010, 14:23
     
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    Recidive mammarie
    Obiettivo: 4% a 5 anni (8% risultato minimo acccettabile)
    Indica la proporzione di pazienti operate con recidive mammarie insorte entro 5 anni dal primo intervento sul totale delle pazienti operate per cancro mammario invasivo o in situ per le quali si ha l’informazione sulla presenza o assenza di recidiva.

    Recidive ascellari
    Obiettivo: 0% a 5 anni (3% risultato minimo accettabile)
    Indica la proporzione di pazienti con recidive ascellari insorte entro 5 anni dal primo intervento sul totale delle pazienti operate per cancro mammario invasivo o in situ per le quali si ha l’informazione sulla presenza o assenza di recidiva.

    Recidive parietali
    Obiettivo: 4% a 5 anni (10% risultato minimo accettabile)
    Indica la proporzione di pazienti con recidive parietali insorte entro 5 anni dal primo intervento sul totale delle pazienti operate per cancro mammario invasivo o in situ per le quali si ha l’informazione sulla presenza o assenza di recidiva.
     
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